Le elezioni universitarie del 21 e 22 maggio si
sono concluse da una settimana ormai. Cosa ne resta? Chi ne parla? Non ne parla
nessuno, ne resta solo tanta amarezza. È il sentimento che induce alla
riflessione dopo aver guardato i dati dell’affluenza alle urne a questa tornata
elettorale universitaria. Una affluenza bassissima in tutti gli Atenei,
addirittura inferiore a quella di due o tre anni fa. Sto parlando del 15,8% a Firenze su
per giù, una cifra spaventosa. Spaventosa per me. Nessuno sembra essersene
preoccupato, niente sembra girare intorno a questo dato.
Appartengo alla generazione di ragazzi nati tra la
metà degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, proprio quella chiamata a
rinnovare gli organi di rappresentanza studentesca in quei due giorni di
maggio. Una generazione strana la mia, fatta di contraddizioni. È la
generazione social, che ama condividere tutto con tutti, che c’è anche dove non
dovrebbe esserci. Generazione intelligente e acuta, piena di persone geniali e
che sanno cogliere i cambiamenti dei tempi al volo. Generazione piena di rabbia
per il futuro che le aspetta, costruito senza prospettive, destinato a subire gli
sbagli di quelli che ora hanno 60 o 70 anni. Noi ventenni siamo quelli che
siamo saliti sui tetti della Sapienza per protestare contro la Riforma Gelmini,
gli stessi che ci picchiamo violentemente davanti agli stadi per una stupida
partita di calcio. Siamo quelli che diciamo di essere stufi della politica
corrotta e votiamo Grillo, ma siamo anche i ragazzi che si schierano con questo
o quel partito, cercando nelle idee pulite la soluzione a quel fastidioso
futuro che ci stanno portando via. Ma diciamoci la verità: ce lo stanno
portando via o ce lo stiamo facendo scappare dalle mani da soli? Perché vedete,
il dato dell’affluenza alle elezioni universitarie, non va preso sottogamba. È
indice di una preoccupante cultura del disinteresse, di una intelligenza messa
al servizio solo di se stessi e mai degli altri. Girare per la facoltà in quei
21 e 22 maggio è significato per molti studenti che erano candidati nei vari
organi, sentirsi dire che “faceva fatica” andare a votare. Ecco, fa fatica.
Scoccia. È solo la perdita di dieci minuti del nostro prezioso tempo che,
invece, da bravi ventenni, potremmo spendere a fare social life. Sui social ci
siamo sempre. Diciamo e scriviamo di tutto. E nelle urne non c’era nessuno. Queste
sono le elezioni universitarie per quel 85% di studenti che non è andato a
votare.
Siamo la generazione viziata dai diritti che gli altri
hanno conquistato per noi. Gli altri sono coloro che forse battendosi fin
troppo negli anni ’70 per queste cose, per lasciare un futuro migliore a chi
sarebbe venuto dopo, hanno forse creato il fenomeno inverso, con un fascia di
giovani che non vuole partecipare, che se ne lava le mani. Vasco Rossi cantava
alla sua generazione, quella appunto che ha vissuto il ’68, “generazione di
sconvolti, che non ha più santi né eroi, siamo solo noi”. Se lo cantava per
loro, noi cosa dovremmo cantare? Che oltre ai santi e agli eroi, non abbiamo
perché non vogliamo più avere nemmeno la possibilità di partecipare, perché
schifati da così tanti diritti da non saperli gestire? È inutile prendersela
con la data delle elezioni, sicuramente infelice a causa degli appelli
imminenti, ma bisogna fare autocritica. Svegliamoci tutti, impariamo da chi non
ha niente, non stiamo sempre a lamentarci di quello che non va. Non mettiamoci
in gioco solo quando c’è da far valere se stessi, cerchiamo di guardarci
intorno e capire che a volte i problemi si possono risolvere, basta solo alzare
lo sguardo dallo smartphone, e mettersi a pensare. Non è solo l’attivista che
può cambiare la realtà. La realtà la cambia chi usa gli strumenti che ha, per
farlo.
Alessia
Cersosimo

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