Il 10 febbraio 1947 è il giorno in cui viene firmato il Trattato di Parigi, il documento che sancì formalmente la ripartizione dei territori dei vari Stati che parteciparono alla seconda guerra mondiale con gli Alleati, e l'Italia che, come tutti sappiamo, ne uscì sconfitta. Il 10 febbraio è, quindi, il giorno scelto dallo Stato Italiano per ricordare l'eccidio delle foibe e la tragedia dell'esodo degli italiani dell'Istria e della Dalmazia.
Il 10 febbraio, infatti, è la data a partire dalla quale, come recita l'art. 11 del Trattato:
" L'Italia cede, mediante il presente Trattato, in piena
sovranità alla Jugoslavia il territorio situato fra i nuovi confini della
Jugoslavia ed i confini italo-jugoslavi, quali esistevano il 1º gennaio 1938,
come pure il comune di Zara e tutte le isole e isolette adiacenti […]".
Molte città che erano italiane, diventano jugoslave.
Questa è la sconfitta, questa è stata la guerra per le popolazioni che erano nate e cresciute in quelle zone. Il Trattato definisce anche la condizione cui vanno incontro proprio queste persone. Chi resterà nella "nuova" Jugoslavia, diverrà a tutti gli effetti cittadino jugoslavo. Recita in proposito il Trattato: "I cittadini italiani che, al 10 giugno 1940, erano
domiciliati in territorio ceduto dall'Italia ad un altro Stato per effetto del
presente Trattato, ed i loro figli nati dopo quella data diverranno cittadini
godenti di pieni diritti civili e politici dello Stato al quale il territorio
viene ceduto. Essi perderanno la loro cittadinanza italiana al momento in cui diverranno
cittadini dello Stato subentrante." Ma chi governava all'epoca la Jugoslavia? Il maresciallo comunista Tito. Già dal 1943, Tito intraprese un'azione di repressione feroce e disumana nei confronti degli italiani che avevano avuto a che fare con il regime fascista. Questi italiani finirono nelle foibe, le cavità carsiche che in quel periodo divennero solo un luogo di morte. Con il passare del tempo, le truppe di Tito, però, mostrarono la loro violenza e il loro odio verso tutti gli italiani presenti nelle zone da loro occupate militarmente. Non importava più chi fossero, quanti anni avessero, la sola cosa da constatare era che fossero italiani. Tito operò una pulizia etnica, tentò di cancellare le radici di quelle genti in un modo atroce e senza compromessi. Alla luce di questi eventi, quindi, come potevano gli italiani istriano-dalmati restare tranquilli nella nascente Jugoslavia?

Nasce nel lutto una nuova tragedia: quella dell'esodo. Migliaia di famiglie fuggono dai territori annessi al regime di Tito, in cerca della libertà. Sradicati dalle loro terre, cercano di portare via il più possibile. Sono giorni dolorosi, testimoniati da immagini dure che ci sono giunte grazie alle fotografie dell'epoca. Immagini di persone cariche di amarezza negli occhi ma anche cariche di speranza, della certezza anzi di trovare ospitalità dai compatrioti più fortunati, quelli che non vivevano in zone di frontiera, quelli sparsi nel resto d'Italia. Gli esuli istriano-dalmati si riversarono, quindi, nelle maggiori città italiane. Molti di loro vennero anche a Firenze e ne è testimonianza la comunità che ancora oggi li rappresenta, per non dimenticare la loro identità, per far conoscere la tragedia di un popolo, all'interno del più vasto popolo italiano. La tragedia, perchè la storia non si ferma all'esodo. La storia ci ricorda che gli stessi italiani che si trovarono a dover ospitare questi fratelli fuggiti a una sorte che non era la loro, proprio quegli italiani accolsero gli esuli quasi come dei nemici. Erano fascisti perchè scappavano da uno Stato comunista. Questo era il pensiero di molti. Erano italiani lo stesso? Sì, ma di serie B. Ecco la nostra grande Italia aprire le braccia a tutti, tranne che ai propri figli.
Azione Universitaria ricorda ogni anno questa tragedia nella tragedia, diventata tale anche a causa dell'omertà che per decenni c'è stata sull'argomento, per fare presente che l'odio e la cieca rabbia di chi aveva vinto, avevano portato noi italiani ad essere gli uni contro gli altri. Fossero stati solo in due a morire nelle foibe o a dover fuggire dall'Istria e dalla Dalmazia, noi li avremmo ricordati lo stesso, perchè italiani.
Chiunque, oggi, a 10 anni dall'istituzione del giorno del ricordo, continui a rievocare il passato per calpestare il presente, si ricordi prima di tutto di essere italiano, di essere nato in un Paese di patrioti, di vivere in uno Stato che in qualche modo ci deve rappresentare. Per farlo, però, ha bisogno soprattutto del fatto che i suoi cittadini, non se la prendano con i morti per risolvere questioni che ai morti, ormai, non interessano più.
A.C.
Un'esule. Porta con sè il tricolore.