All'alba del 4 novembre l'Arno inizia a rompere gli argini a Firenze. La piena procede per i lungarni e sommerge tutti i quartieri storici per raggiungere nella mattinata Santa Croce e Piazza del Duomo; l'ondata si moltiplica anche nei comuni della periferia, e tutta l'area urbana si ritrova isolata.

La marea impetuosa di acqua e fango, carica oltretutto della nafta raccolta dai diversi serbatoi cittadini, trasporta con sé detriti, automobili e tutto ciò che incontra sul suo cammino ed il livello dell'acqua tocca picchi di 5 metri.
Rischia di essere spazzato via Ponte Vecchio, ma l'assedio interessa anche Palazzo Vecchio e gli Uffizi, mentre la Biblioteca Nazionale e Santa Croce sono già allagate: con una rincorsa frenetica si cerca di mettere al riparo il salvabile, nel terrore di perdere per sempre opere preziosissime troppo pesanti o ingombranti per essere tempestivamente messe in salvo.
Il resto d'Italia si accorgono della sciagura soltanto in serata, quando le persone rifugiate sui tetti delle proprie case assistono speranzose ai primi segni di ritirata dell'acqua.
L'inaudite proporzione dell'alluvione, che ha invaso la città con 250.000.000 m³ d'acqua e 600.000 m³ di fango, coglie tutti impreparati; con le strade inagibili, ogni ponte sommerso e tutte le condutture idriche elettriche e telefoniche interrotte, Firenze è soggetta ad altissimi rischi di epidemie o saccheggi e, completamente isolata e divisa in due, non viene ancora raggiunta dai soccorsi inviati dal governo.
La solidarietà dei volontari, che cominciano a mobilitarsi da ogni parte, svolge quindi un ruolo decisivo nella frenetica opera di soccorso che, in una lotta contro il tempo, deve riuscire a risollevare una città prostrata dal disastro.
Lo scenario che si presenta nei giorni successivi alla piena dell'Arno è quello di un apocalisse: ai danni provocati dall'acqua si aggiungono nuovi pericoli per il fango, che non può ritirarsi e anzi nel processo di essiccazione risulta ancor più difficile da rimuovere.
Arrivato finalmente anche l'esercito, ci si accorge ben presto che la situazione disperata richiede ancora più braccia, mezzi e fondi di quelli a disposizione. Tutto il mondo è in apprensione per i tesori che Firenze custodisce, perciò da tutta Europa come dall'America si raccoglie senza esitare il silenzioso appello alla mobilitazione, fino a formare una commovente, immensa catena di solidarietà.

Spontaneamente, convergono in città migliaia di volontari che si dedicheranno per mesi, senza soste, ad un'opera di recupero senza precedenti e, per il loro determinante contributo al salvataggio del patrimonio artistico fiorentino, verranno successivamente battezzati 'gli angeli del fango'.
Il salvataggio ha miracolosamente successo per la maggior parte dei capolavori danneggiati dall'alluvione. Purtroppo però, per alcuni esemplari i danni sono irreparabili; opere preziosissime sono ormai irrimediabilmente rovinate.